Se solo da qualche decennio è nota quella ‘via degli odori’ che dal naso conduce alla corteccia cerebrale e se è altrettanto noto che l’1% del nostro genoma è dedicato al riconoscimento chimico, non è ancora chiara la relazione tra gli odori, le emozioni e gli istinti – l’ambito olfattologico indubbiamente meno studiato.
Che relazione c’è, allora, tra l’olfatto e la nostra vita emotiva?
E come può una fragranza influire sul nostro stato emotivo?
Frequentemente illustrato dalla letteratura e dall’arte, il rapporto tra gli odori e le emozioni è infatti trascurato dalla scienza. Persino le ricerche sulle emozioni non riservano alcuna attenzione al loro nesso con l’olfatto, il cui studio potrebbe avere invece importanti implicazioni per la comprensione dei processi emozionali. Sappiamo tutti che gli odori sono una fonte importante di piacere o di dispiacere, sappiamo che generano nel soggetto percipiente stati affettivi associabili alle esperienze individuali: possono metterci in allarme, possono deliziarci o disgustarci e, anche se spesso non riusciamo a tradurne verbalmente le cause, possono orientare le nostre scelte attrattive e repulsive, ma difficilmente ci lasciano indifferenti. La stretta – e ormai nota – correlazione tra l’olfatto e il sistema limbico, centro cerebrale della nostra vita passionale e umorale, spiega la componente emotiva degli odori.
Gli odori penetrano direttamente nel nostro cervello raggiungendo l’amigdala e l’ippocampo (strutture del sistema limbico anatomicamente connesse alla corteccia olfattiva) evocando intense emozioni di paura, di gioia, di disgusto, di nostalgia o di affetto. Queste emozioni riescono tanto intense quanto, inizialmente, inconsapevoli: infatti, gli stimoli elaborati in queste regioniseguono una sorta di scorciatoia cerebrale, attivando risposte immediate e istintive. Le reazioni emotive a un odore vengono misurate avvalendosi delle reazioni psicofisiologiche (analisi di fluidi corporei come sudore, saliva, sangue, urine) per le variazioni a lungo termine, del rilevamento dell’attività elettrica del cervello (potenziali minimi elettrici del corpo: dei muscoli, della pelle, del battito cardiaco; onde emesse dal cervello, registrate attraverso l’Elettroencefalogramma (EEG); potenziali evocati: rapportati cioè a un evento – uno stimolo sensoriale) e delle tecniche di brain imaging (PET, functional magnetic resonance imaging) per le reazioni a breve termine o in tempo reale.
Alcune ricerche sugli effetti cerebrali e quindi cognitivi degli odori (condotte con la tecnica dei potenziali evocati) rileverebbero nell’emisfero destro una maggiore sensibilità agli odori sgradevoli; gli odori gradevoli (come, per esempio, quello della vanillina) determinerebbero invece un segnale elettrico più ampio se viene stimolata la narice sinistra (direttamente collegata con l’emisfero sinistro). La valutazione affettiva degli odori sarebbe dunque più chiaramente lateralizzata nel caso delle maleolenze; le sensazioni positive sembrerebbero invece sottrarsi alla lateralizzazione. Il ricorso all’uso di film, di volti o di frasi per suscitare reazioni emotive aggiunge una difficoltà nello studio della lateralizzazione dei processi emotivi, dal momento che occorre tener conto del concomitante coinvolgimento di processi cognitivi altrettanto lateralizzati.
Non esistendo emozioni disgiunte da sensazioni e da pensieri, è importante precisare l’aspetto lateralizzato dell’esperienza emotiva. L’applicazione di
tecniche di visualizzazione all’analisi degli effetti cerebrali degli odori è in una fase ancora preliminare e tuttavia tale da confermare la corrispondenza tra la localizzazione di aree cerebrali attivate dagli odori e la lateralizzazione cerebrale causata da stimoli atti a indurre emozioni: gli odori più familiari e gradevoli attivano bilateralmente la paleocorteccia olfattiva e un’area olfattiva neocorticale, la corteccia prefrontale (soprattutto nella zona destra); la visione di volti atterriti e la percezione di cattivi odori (per esempio di un cibo guasto) attivano l’amigdala bilateralmente. Secondo studi recenti, condotti mediante fMRI, nell’individuo che osservi in un volto altrui una reazione di disgusto (segno che l’oggetto annusato o gustato è percepito come un veicolo di possibili pericoli) si attivano empaticamente le stesse aree corticali operanti nel soggetto disgustato.
Esisterebbe, insomma, una sorta di meccanismo sociale che ci consente di ‘leggere’ e di rivivere interiormente le emozioni altrui, un dispositivo cerebrale ‘specchio’ (molto simile a quello preposto alla comprensione delle azioni e delle intenzioni) che colorisce emotivamente la condivisione delle risposte viscero-motorie legate per l’appunto alle emozioni. Se è vero che gli aromi e le emozioni si condizionano reciprocamente, è anche vero che le nostre emozioni hanno odori diversi e riconoscibili. Espressioni quali ‘fiutare un pericolo’, ‘sprizzare felicità da tutti i pori’ o ‘l’odore della paura’ non sono solo metafore, ma hanno anche un fondamento biologico. Per molti animali, come per esempio i roditori, annusare un pericolo determina uno stato di allarme e provoca la secrezione di sostanze chimiche che modificano l’odore corporeo, segnalando ai cospecifici la presenza del pericolo. Qualcosa di analogo è stato sperimentato anche negli uomini: il ‘profumo della felicità’ o ‘del divertimento’ emanante da un film comico è più riconoscibile nelle donne, mentre l’‘odore della paura’, scatenato da un film del terrore, sembra più intenso e riconoscibile negli uomini. Ma è stato altresì provato che fragranze diverse possono influenzare i nostri umori e penetrare nel nostro subconscio: possono ridurre le nostre paure, lenire i nostri dolori, ridurre il nostro stress, agire sulla nostra concentrazione mentale, avere un effetto rilassante ed essere applicate con successo nelle terapie psichiche e fisiche. Per esempio, esporre i lattanti all’odore del seno materno ha effetti sul loro modo di reagire al dolore: mitiga i loro pianti così come l’esposizione a un odore sgradevole li acuisce. Un buon profumo può stimolare l’istinto a voltarsi per cercarne la fonte in una bella donna o in un bell’uomo. Si è poi portati a pensare che gli odori gradevoli producano stati affettivi positivi e che quelli sgradevoli producano stati negativi. La questione è in realtà più complessa: un odore non sgradevole in sé può determinare reazioni di rifiuto perché viene soggettivamente associato ad eventi spiacevoli (per esempio a un intervento chirurgico in anestesia parziale); viceversa, un odore non particolarmente significativo può essere connotato positivamente se viene esperito in una situazione piacevole. Del pari, l’odore gradevole di un cibo può riuscirci sgradevole se ne abbiamo fatto indigestione o se siamo sazi.
Alcuni studiosi hanno dimostrato sperimentalmente come un odore di per sé neutro possa acquisire una valenza affettiva ed evocativa se viene associato a
un’esperienza ricca di significati emotivi e d’altra parte, come s’è visto, la capacità di operare queste associazioni è presente fin dai primi vagiti. Il condizionamento reciproco di odori ed emozioni è tuttavia individuale, dipendente dai contesti, spesso debole e pertanto difficile da dimostrare. Sul piano funzionale l’olfatto, a differenza della vista e dell’udito, stimola più prontamente l’attività emotiva che l’attività strettamente cognitiva: e, appunto per questa sua tendenza a compromettersi con le emozioni, l’olfatto è stato spesso sottovalutato.
Una lunga tradizione filosofica che risale almeno a Cartesio ha drasticamente separato le emozioni dalla vita intellettiva e razionale, relegandole al livello dell’animalità, un’idea condivisa in larga parte dalle scienze cognitive. È ovvio però che ogni impresa intellettuale sia impregnata di emozioni e che le attività di ‘basso’ livello cooperino con quelle di ‘alto’ livello nei processi della mente. Ecco perché si deve riconoscere appieno il valore cognitivo dell’olfatto. Solo nell’uomo, del resto, le parti più arcaiche del cervello si sono integrate con quelle più recenti, influenzandosi reciprocamente attraverso un complesso sistema di connessioni entro il quale anche il valore funzionale delle zone più antiche non è lo stesso di quello assunto nelle specie meno evolute: basti pensare che parti del cervello rettile, che negli animali controllano alcune attività motorie, nell’uomo intervengono anche in alcune funzioni linguistiche e cognitive.
Come afferma S. Van Toller, uno dei maggiori studiosi dei rapporti tra naso ed emozioni, essa trova nell’Homo sapiens «le sue manifestazioni più nobili e più vili. [...] Gli uomini sono gli unici esseri viventi ad aver trasformato il mangiare e il bere in rituali della convivialità. Analogamente, la loro attività sessuale può assumere forme eccentriche e devianti». Seguendo le argomentazioni speculative di Hume e di Spinoza, alcuni neuroscienziati, tra cui J. Le Doux (1996) e A.R. Damasio, rifiutano la netta separazione delle emozioni dall’agire razionale, sottolineando piuttosto il valore cognitivo del sentimento. Pur essendo totalmente ignorato dagli esperti delle emozioni, lo studio di un sistema prevalentemente emozionale come l’olfatto è una finestra privilegiata per osservare il complesso intreccio tra la mente e il corpo – sostanze tutt’altro che separate. Odori gradevoli o sgradevoli possono infatti influenzare, oltre agli stati d’animo, i giudizi su persone, su fotografie o su quadri. Numerosi dati confermerebbero che gli stati d’animo indotti dall’esposizione a un odore possono condizionare sensibilmente i giudizi espressi su stimoli neutri o ambigui, ma non quelli relativi a stimoli chiaramente positivi o negativi.